Il primo inverno by Il primo inverno. La piccola era glaciale. (Marsilio 2018)
autore:Il primo inverno. La piccola era glaciale. (Marsilio, 2018)
La lingua: ita
Format: epub
editore: Marsilio
pubblicato: 2018-02-14T23:00:00+00:00
LA VIRTÙ E LA CELLA DI ANNEGAMENTO
Queste dinamiche ci appaiono più dure e spietate che mai nella città di Amsterdam, dove negli anni d’oro della potenza marittima e commerciale olandese si era venuta a creare la massima concentrazione mondiale di esseri umani, mezzi economici, consapevolezza, possibilità di carriera e spirito di inventiva.
Amsterdam si era arricchita grazie al commercio di granaglie con il Baltico, ma da allora il benessere dei cittadini era andato ancora aumentando grazie ai viaggi oltremare e agli investimenti finanziari. Alla base di quell’ascesa c’erano le strategie del mercantilismo: un modello di crescita economica fondata sullo sfruttamento. Il commercio di cereali con il Baltico era così redditizio perché i campi venivano coltivati da servi della gleba. In Indonesia, Guyana e nell’attuale Suriname il pepe, la noce moscata, l’indaco e le altre merci di lusso venivano prodotte con manodopera indigena e schiavile (per lo più di origine africana). Nelle piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi lavoravano quasi esclusivamente degli africani deportati oltreoceano, e la stessa tratta di esseri umani costituiva di per sé un business lucrativo. Servi, schiavi, indigeni e salariati, magari sradicati dalle terre d’origine, venivano sfruttati pressoché ovunque nel nome del guadagno, per procurare i fondi che in Europa (e ben presto anche in Nord America) servivano a foraggiare città e a finanziare guerre.
Questo non significa che per i cittadini di Amsterdam, che pure beneficiavano in modo diretto o indiretto di quelle ricchezze strappate a individui senza tutela, la vita fosse rose e fiori. I prezzi crescevano in continuazione. Occorreva darsi da fare ogni giorno. Soltanto i rari esponenti dell’élite mercantile godevano di un benessere sicuro.
Per chi non era disposto a lavorare la città aveva in serbo un rimedio, la cosiddetta Rasphuis, un istituto la cui storia ha molto da dire sulla mentalità legata alla genesi di un nuovo mondo urbano e dei relativi stili di vita. La Rasphuis era una sorta di prigione, un istituto correzionale sui generis nel quale i giovani disavvezzi al lavoro imparavano a guadagnarsi il pane con il sudore della fronte. Era dotato di laboratori nei quali il legno tropicale veniva ridotto in polvere per servire da pigmento nella tintura delle stoffe. La manodopera veniva compensata a cottimo, ma soggiaceva a un regime rigido e severo che non solo prevedeva pene corporali per chi disobbediva, ma consentiva ai visitatori paganti di osservare i reclusi al lavoro, come in una sorta di zoo.
Molti di quei visitatori hanno accennato a una peculiarità della Rasphuis, un dettaglio sul quale non abbiamo altri documenti: sembra che nelle cantine fosse stata allestita una speciale camera stagna destinata a chi si rifiutava di fornire lavoro. Il renitente veniva rinchiuso e la cella, a poco a poco, si riempiva d’acqua. Il detenuto aveva a disposizione una pompa idraulica: per salvarsi dall’annegamento, in altri termini, era fisicamente costretto a lavorare.
Il lavoro era cosa gradita a Dio. Già Calvino lo aveva insegnato, e nessuno più degli olandesi era sensibile a quelle dottrine. Anche le politiche sociali delle autorità comunali di
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